“La memoria è un concetto spirituale.
Mettiamo, per esempio, che qualcuno ci racconti i suoi ricordi d’infanzia e si può affermare che ci troveremmo tra le mani un materiale grazie al quale
ci potremmo fare l’idea più completa possibile di quella persona.
Un uomo privo della memoria è in balia di un’esistenza illusoria.”Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo, 1997
Il confronto con il passato è sempre difficile, soprattutto attraverso il medium fotografico che più di ogni altro intesse con la realtà un rapporto quasi simbiotico. Se parliamo di fotografia accettandone l’etimologia dobbiamo considerare che ciò che vediamo è accaduto davanti all’autore in un preciso momento e luogo. Essa è quindi anche un’impronta della realtà e, indipendentemente dalle manipolazioni che potrà subire in seguito, in origine è un documento, una prova di ciò che è stato, destinata a ripetere per sempre quel momento, quell’espressione di un volto, quella condizione di luce. Nel tempo, la conservazione di una stampa può renderla a volte un feticcio, un alter ego di qualcosa o qualcuno che non c’è più, assumendone quasi la fisicità, che, messa a confronto ora con l’incorporeo supporto digitale, rende quasi incolmabile la distanza tra i due mondi. Il senso di smarrimento può crescere ancora se paragoniamo le immagini d’archivio, gli album di famiglia o l’apparente casualità delle ‘images trouvée’, rese ancor più affascinati dai difetti che le hanno rese degli scarti, alle infinite possibilità di fotoritocco ed elaborazione elettronica, che cancellano per sempre gli errori senza lasciarne traccia, dimenticandoli. Ma quello tra passato e presente è un falso confronto. Certo supporti nuovi impongono nuove riflessioni sulla loro conservazione futura e tale evoluzione può aiutare a rendere fruibile più facilmente anche il materiale storico. Cancellare e sovrascrivere , selezionando i dati da ricordare, è certamente un metodo efficace per usare al meglio la memoria disponibile, come ci insegna il nostro cervello, ma ci sono cose che si dimenticano anche se vorremmo conservarle e altre, al contrario, che ci tornano sempre alla mente, nonostante tutto.
Quando Sam Thorne, associate editor di Frieze, magazine di arte contemporanea, ha chiesto ad una studentessa del Master of Fine Arts quanto abbia contato la teoria durante il corso, la risposta è stata: “Teoria di cosa?”. Qualcuno sostiene che l’epoca della teoria sia finita all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, ma è senz’altro indubbio che l’evoluzione digitale degli ultimi quindici anni abbia reso più semplice, veloce e perfino più produttivo il passaggio, per le generazioni più giovani, dalla cultura accademica ad una più popolare. Attualizzare e ridare senso al passato attraverso una rielaborazione contemporanea può servire non solo a ribadire l’utilità della teoria e verificarne la diffusione, ma anche per riflettere su come questa sia stata spesso incompresa ed eventualmente a porvi rimedio.