“Questa mattina ho guardato la distruzione del mondo come un attento spettatore, poi sono tornato al lavoro.”
Franz Kafka
Fotografie come testo*
Ilaria Bonacossa
Andrea Botto fotografa esplosioni civili in Italia e in Europa dal 2008. Questi eventi particolari, pianificati nei minimi dettagli sia per demolire architetture dismesse, sia per trasformare strutturalmente il paesaggio per la costruzione di nuove infrastrutture sono programmati con considerevole anticipo, mentre il loro consumo avviene in pochi minuti. Ripreso con una fotocamera analogica di grande formato su pellicola 4×5 pollici, l’apice dell’esplosione è diventato una peculiarità della sua ricerca che combina l’occhio del fotografo con le capacità compositive di un pittore. Quello che troviamo così seducente e ‘bello’ nelle sue immagini è la riproduzione di un atto violento, privato di ogni violenza, la capacità di catturare l’energia della distruzione nell’istante in cui essa viene consumata. Il suo lavoro incarna il fascino umano per la morte e la natura intrinseca della fotografia di catturare ciò che non è più presente. Come sostiene Roland Barthes in La camera chiara, la temporalità peculiare della fotografia può essere descritta con un’espressione tautologica del tempo verbale ‘futuro anteriore’ nella grammatica Francese, che possiamo vagamente tradurre con ‘ciò che sarà stato’, concentrandosi quindi sul rapporto tra presenza e assenza.
Ma la scelta del soggetto stesso merita di essere analizzata in quanto diventa una materializzazione autoriflessiva dell’idea di fotografia e la sua complessa relazione con il tempo e la memoria. Infatti le immagini di Andrea Botto catturano l’impermanente esistenza di un fenomeno che scompare nel momento stesso in cui viene registrata la sua presenza fisica, accelerando quindi il passaggio del tempo e la natura della fotografia come traccia del passato; mentre questo può essere detto più o meno per tutte le fotografie, in questo caso è messo in evidenza l’aspetto fittizio delle immagini, che sono invece in qualche modo dei ‘documenti’. Quindi, ciò che diventa evidente analizzando il progetto nel suo complesso è che le immagini sono sempre delle forme di azione.
Un’esplosione non è soltanto un intenso fenomeno nel campo della fisica che, attraverso una grande dispersione di energia, porta una considerevole trasformazione della materia o del paesaggio, come nel caso delle fotografie di Andrea Botto, ma è anche lo spettacolo supremo dove viene rappresentata l’emotiva fascinazione del pericolo, in cui la coscienza della fragilità della nostra esistenza corporea è intensificata dal potere di un processo che, una volta innescato, non può essere interrotto. D’altra parte queste immagini, nella loro composizione altamente pittorica ed estetica, che l’artista può solo parzialmente prevedere attraverso la sua esperienza nel fotografare esplosioni, nascono da un grande grado di casualità. Ciò che diventa così seducente è come possano essere lette sia come illusioni, sia come veri documenti. Come spesso sottolineato da George Didi-Huberman, è chiaro come la creazione di un’immagine, in questo caso, non sia un modo di illustrare un’idea o registrare un pezzo di realtà, ma un modo di agire sulla realtà per costruire un’idea.
(…)
Ma quale idea sta costruendo Andrea Botto con questa serie di fotografie? Credo che la risposta possa essere trovata analizzando KA-BOOM, il progetto editoriale e presto espositivo, concepito e curato dall’artista stesso. KA-BOOM non è un libro fotografico, anche se riproduce delle fotografie, non è una pubblicazione di archivio anche se ristampa una serie di immagini prese da manuali di esplosivistica e non è nemmeno la documentazione di una performance anche se Andrea Botto in persona ha rimesso in scena, recitato e documentato momenti cruciali nel processo di costruzioni degli esplosivi. KA-BOOM è un immaginario manuale di esplosivistica in cui materiali d’archivio originali incontrano immagini messe in scena di costruzioni fai-da-te, insieme alle fotografie di vere esplosioni realizzate dall’autore. Il risultato è una sofisticata indagine sullo stato della fotografia contemporanea, dove sono sollevate numerose domande e non vengono fornite risposte semplici.
Il trattato di Guy Debord sulla moderna condizione umana La società dello spettacolo pubblicato nel 1967 comincia con queste parole: “Nelle società dove prevalgono le moderne condizioni di produzione, tutta la vita si presenta come un’immensa accumulazione di ‘spettacoli’. Tutto ciò che è stato vissuto direttamente si è spostato in una rappresentazione.” La fotografia, più di tutti gli altri media, è stata sfidata da queste trasformazioni della società e da come quasi tutto ciò che facciamo, e quindi documentiamo con i nostri smartphone e condividiamo sui vari social network, è diventato ‘performativo’ e ‘spettacolare’, spingendo l’idea della postmodernità e della sua iperrealtà, terizzate da Jean Baudrillard, in un normale fenomeno quotidiano.
Così il progetto di Andrea Botto è articolato attraverso un meccanismo in cui ogni nozione di autenticità diventa quasi impossibile mescolando fiction, realtà e messa in scena per opporsi all’idea che tutto è spettacolo, suggerendo di applicare la critica e la memoria come forme di resistenza. Ricordando la struttura dei diari di Bertold Brecht e il loro uso della fotografia come medium multidisciplinare, capace sia di sedurre, sia di allontanare il lettore, Andrea Botto tenta di trasformare le immagini in mezzi per attivare processi di conoscenza. Sfogliando il libro si è allo stesso tempo affascinati e alienati, continuamente stimolati a mettere in discussione l’idea di cosa sia un’esplosione e allo stesso tempo ad ammirarne la manifestazione. La struttura del libro annulla ogni illusione di continuità e spinge lo spettatore a prendere posizione, per riflettere sulle immagini e sul loro sviluppo.
Ciò che è affascinante, però, è il modo in cui, assorbendo la diffusione contemporanea dei manuali fai-da-te su internet, l’artista unisce immagini di libri storici in bianco e nero con immagini di se stesso che esegue istruzioni sulla costruzione di esplosioni, rivendicando così una genealogia per il proprio lavoro. Inoltre, l’uso di repliche di oggetti reali ricostruiti usando carta e plastica è anche un modo per testare la credibilità delle immagini all’interno di un contesto specifico. La poetica dell’interruzione che mette in discussione l’illusione della continuità, obbliga lo spettatore a guardare le immagini con un’attenzione speciale per mappare la propria narrativa personale. Pertanto le immagini di Andrea Botto non descrivono semplicemente la realtà delle esplosioni ma esplodono invece la nostra realtà catturandone l’unicità. L’autore sembra dirci che esiste la possibilità come collettività di condividere un momento nel tempo, invece di guardare gli schermi dei nostri telefonini ignorandoci a vicenda, mentre amplifichiamo la riproduzione della realtà.
La scelta delle esplosioni e dell’esplosivo che le ha originate non è affatto casuale, poiché spinge la realtà sull’orlo dello straordinario; anche se tutte le fotografie di Andrea Botto sono prese in occasione di esplosioni civili ufficiali e pianificate, la natura stessa di questi eventi è violenta ed evoca ricordi di guerre e detonazioni nucleari. Inoltre, i nostri tempi contemporanei di incertezza e di minacciato fondamentalismo e terrore trasformano l’idea di un manuale fotografico sull’uso degli esplosivi in qualcosa che dovrebbe essere censurato, mettendo in evidenza il potere della fotografia di parlare oltre i propri confini e di attivare trasformazioni rivoluzionarie.
* Ilaria Bonacossa “Photos as Text”, pubblicato in KA-BOOM The Explosion of Landscape, Èditions Bessard, Parigi 2017
Anno: 2008/2016
Fine-Art Pigment print su carta Canson Infinity Platine fibre rag baryta 100% cotone
montata su d-bond e cornice in legno + vetro museale
Misure varie: 60×80 – 81×99 – 100×120 – 111×136 – 131×161 cm
Edizione 7 + II a.p.
Premi:
I Premio Graziadei, 2012 (primo premio)
Premio Terna, 2012 (finalista)
Premio Francesco Fabbri, 2012 (menzione speciale)